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Il Regolamento cosmetico introduce il concetto di criteri di riferimento per l’uso dei claim, interpretando il desiderio di chiarezza del consumatore che oggi è più prudente nell’accordare fiducia alla promessa e attento a modelli di comunicazione interattivi e personalizzati. La correttezza delle dichiarazioni di prodotto ha trovato spazio nel Regolamento 1223/2009, che a partire dall’11 luglio 2013 entrerà in vigore nel territorio dell’Unione Europea sostituendo l’attuale Direttiva cosmetica 76/768/CEE. A partire dal Considerando 51, la materia della presentazione dei cosmetici si dispiega tra gli articoli 1 (ambito di applicazione e obiettivo), 2 (definizioni), 11 (documentazione informativa sul prodotto),per trattare nell’articolo 20 (dichiarazioni relative al prodotto) la questione specifica dei claim. Mentre il Considerando 51, raccogliendo le istanze avanzate da alcuni stakeholder, istituisce un principio di tutela dei consumatori da dichiarazioni ingannevoli in merito all’efficacia e ad altre caratteristiche dei prodotti cosmetici, l’articolo 20 stabilisce che nell’ etichetta, nella presentazione e nella pubblicità dei cosmetici non devono essere impiegati diciture, immagini o altri segni che attribuiscano loro caratteristiche o funzioni che non possiedono; inoltre, nel secondo comma, lo stesso articolo prescrive che la Commissione, in cooperazione con gli Stati membri, fissi in un piano d’azione le priorità per determinare criteri comuni che giustifichino l’utilizzo delle diverse dichiarazioni. La Commissione stessa, dopo aver consultato il Comitato Scientifico per la Salute dei Consumatori (SCCS) o altre autorità pertinenti, adotterà un elenco di criteri comuni per le dichiarazioni che possono essere utilizzate riguardo ai prodotti cosmetici. Introducendo l’idea di criteri di riferimento per l’uso dei claim per i cosmetici, il Regolamento cosmetico si affianca alla Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, a cui rimanda esplicitamente per gli aspetti inerenti la pubblicità. In quest’area, un altro fondamento normativo, di tipo privatistico, è costituito dal Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale,redatto e aggiornato dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP). Entro l’11 luglio 2016, la Commissione dovrà presentare al Parlamento e al Consiglio UE una relazione concernente l’uso delle dichiarazioni sulla base dei criteri comuni adottati. «Solo nel caso in cui la relazione concludesse che le dichiarazioni utilizzate non sono conformi ai criteri comuni, la Commissione adotterà misure adeguate per assicurare la conformità, in cooperazione con gli Stati membri – spiega Stefano Dorato, direttore Regulatory and Scientific Affairs di Unipro. – Proprio per soddisfare quanto previsto dall’articolo 20, comma 2, la Commissione ha deciso di istituire uno specifico Sub Working Group on Claims cui potranno partecipare gli stakeholder interessati. Nel 2010 sono previste due riunioni del Sub-WG, la prima per il 5 maggio. Il mandato entro cui dovrà agire questo gruppo di lavoro prevede di: fissare le priorità per determinare criteri comuni per giustificare l’uso di un’aggettivazione, stabilire i metodi per determinare tali criteri e aiutare la Commissione a redigere un elenco di criteri comuni per i claim che possono essere usati per i cosmetici». Dorato precisa inoltre che il fatto di adottare una lista di criteri comuni per le aggettivazioni non significa che si debba adottare un elenco comune di aggettivazioni, poiché il Regolamento non prevede una valutazione individuale dei claim «a questo proposito la posizione dell’industria europea, evidenziata già nel dibattito che ha preceduto la pubblicazione del Regolamento, prevede l’elaborazione di linee guida scientifiche sulle procedure di valutazione dell’efficacia di un cosmetico condivise da tutti gli stakeholder. Questo approccio scientifico rimuoverebbe il rischio di un’ingannevole comunicazione al consumatore. Le Colipa Guidelines for the Evaluation of Efficacy of Cosmetic Products,riviste nel maggio 2008, aiutano già oggi le aziende cosmetiche a conformarsi ai disposti della Direttiva cosmetici in materia di valutazione dell’efficacia vantata, presentando una serie di metodi convalidati come strumento per stabilire l’efficacia in funzione della categoria del prodotto e delle aggettivazioni da avvalorare».
 
Messaggi controversi
Un’analisi dei provvedimenti del Giurì e dello IAP e delle sentenze dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercatole principali autorità a cui ricorrere in caso di pratiche commerciali scorrette, cui si aggiunge il giudice ordinario, delinea gli aspetti maggiormente discussi in materia di comunicazione del cosmetico. Afferma Giuseppe Strano, partner dello studio legale DCS & Partners di Milano «la materia della comunicazione commerciale deve essere considerata anche e soprattutto sotto il profilo giurisprudenziale: tutto il sistema formalizzato negli ultimi anni a livello legislativo, infatti, è il frutto di una elaborazione giurisprudenziale dei provvedimenti delle autorità di controllo». Nello specifico dei claim sui cosmetici, la giurisprudenza è intervenuta ribadendo i limiti entro cui il claim pubblicitario si debba muovere, esemplifica Strano, richiedendo dichiarazioni che non ingenerassero confusione con prodotti di valenza terapeutica o con dispositivi medici, come è successo a suo tempo per i cosiddetti anticellulite. «La confusione con tipologie di prodotto molto diverse dal cosmetico è un problema sempre attuale – prosegue il legale,– considerando la tendenza commerciale che spinge a portare sul mercato prodotti border line, che abbinano all’azione cosmetica funzioni tipiche dei dispositivi medici se non addirittura di farmaci. Sotto il profilo della comunicazione e della legittimatà della stessa si aprono alcuni problemi, perché i dispositivi medici rispondono a una propria disciplina, che per la pubblicità prevede l’autorizzazione del Ministero della Salute, di conseguenza possono talvolta verificarsi conflitti di competenza con le autorità di controllo della comunicazione». Un altro aspetto riguarda i metodi di prova a supporto delle affermazioni riguardanti l’efficacia cosmetica, a cui peraltro la comunicazione di questi prodotti fa frequentemente ricorso. «Queste dichiarazioni vengono molto spesso sottoposte a verifica dell’autorità,che tende a entrare nel merito della validità dei test a supporto e della loro coerenza rispetto al messaggio, considerando in modo differente test strumentali, in vivo, in vitro o test di autovalutazione – riporta Strano.– Un elemento critico è l’entità del campione considerato nei test, che dovrebbe essere rappresentativo e adeguato alla proprietà che si intende dimostrare, mentre troppo spesso si tratta di campioni esigui. Un altro aspetto è la terzeità del soggetto che esegue tali test, considerati dalle autorità più affidabili se effettuati da un soggetto super partes, quindi esterno, e accreditato. Questa tematica mette in evidenza un aspetto delicato del controllo, quello della discrezionalità delle decisioni, che non hanno criteri standard a cui riferirsi, fondandosi su valutazioni caso per caso in cui vengono soppesati i molteplici elementi: test considerati sufficienti per un prodotto non lo sono per altri». Le asserzioni negative sono un altro tema «è un filone molto recente, in cui i claim tendono a negare la presenza di una determinata sostanza o famiglia di sostanze al fine di rassicurare il consumatore, giocando sulla una sensibilità diffusa tra molti rispetto al contatto con alcune sostanze (es.: senza conservanti,senza coloranti ecc). «Questi messaggi incontrano critiche e vengono talvolta ritenuti scorretti in quanto contenenti un vanto non riferibile a specifiche qualità del prodotto, bensì all’assenza di sostanze il cui uso nel cosmetico tuttavia non sarebbe proibito ovvero nocivo. Personalmente ho delle riserve su quest’impostazione. Ritengo, infatti, che la pubblicità al consumatore abbia anche una funzione “informativa”, che vada valorizzata positivamente sia perché in grado di soddisfare il bisogno specifico del consumatore sia perché in grado di accrescere la capacità critica di quest’ultimo nella propria scelta. A mio parere la correttezza di tali claim andrebbe valutata caso per caso. La questione è dunque su quanto sia spinto l’elemento di informazione,in linea di principio leale, rispetto al rischio di indurre il consumatore, ingannevolmente, a pensare che altri prodotti avrebbero qualità inferiore perché contengono questa o quella sostanza».
 

Claim prestazionali: attuali o superati?
Una comunicazione che punta a spiegare i meccanismi dell’efficacia cosmetica sembra essere interessante per un consumatore sempre più curioso di comprendere come migliorare il proprio aspetto e desideroso di fare la scelta giusta in un mercato affollato di prodotti. «Da tempo la consumatrice è abituata a cercare di capire i meccanismi su cui si basa l’efficacia cosmetica – osserva Francesca Terzaghi, direttore marketing Deborah Group – attraverso una comunicazione tecnica nata per la cosmesi funzionale e che adesso si estende anche al make-up, ormai diventato border line con il trattamento». «A fronte di un interesse forte del consumatore per gli aspetti scientifici del prodotto e dell’acquisizione di una certa confidenza con una terminologia tecnica – nota Orietta Viziale, responsabile comunicazione scientifica e relazioni mediche Ales Groupe Italia, – non è ancora diffusa una preparazione che consenta una piena comprensione della qualità dei prodotti e una visione critica della loro comunicazione. Al contempo si riscontra una certa diffidenza verso la comunicazione ufficiale dei prodotti, da cui la tendenza a cercare informazioni in autonomia, attraverso internet. Purtroppo l’incompletezza della preparazione di base impedisce di distinguere le informazioni corrette da quelle false o dai luoghi comuni. I risultati sono la demonizzazione di alcuni ingredienti in modo del tutto emotivo oppure la tendenza criticare il posizionamento di prezzo di prodotti solo apparentemente simili senza fare le necessarie distinzioni sulla loro qualità». A proposito delle tensioni del consumatore rispetto alle informazioni sul cosmetico,Dario Fracchia, esperto del settore cosmetico e della profumeria e contitolare di B&F Marketing, società di consulenza, comunicazione e ricerche di mercato, rileva «oggi vediamo una proliferazione di promesse forti da parte dei produttori, ma la maggiore attenzione dei consumatori è rivolta alla sicurezza e questo si scontra con la difficoltà, per il cittadino, di valutare il prodotto con competenza. La conseguenza è che stanno aumentando l’incertezza e l’insoddisfazione. L’impossibilità di giudicare autonomamente le caratteristiche dei prodotti e la presenza di ingredienti considerati, a torto o a ragione, critici (parabeni, petrolati, laurilsolfati ecc) spinge alla diffidenza. Chi ne ha la possibilità tende a cercare fonti alternative d’informazione: è ancora una minoranza, che tuttavia potrebbe rappresentare l’avanguardia di un trend in consolidamento. È costituita in larga misura da giovani, che utilizzano i blog per scambiarsi informazioni, pareri ed esperienze. Si assiste alla proliferazione di siti in cui si analizzano i prodotti, si indicano gli ingredienti “buoni” o “cattivi”, un fenomeno caratteristico del cosmetico. Al di là della maggiore o minore serietà di questi siti e del fondamentalismo ideologico che spesso li caratterizza, rivelano certamente il sintomo di un bisogno del consumatore a cui ancora i prodotti, le aziende e gli enti istituzionali non sanno completamente rispondere». In un quadro in cui non mancano diffidenza,insoddisfazione e disillusione sembra vacillare la credibilità dei messaggi che comunicano una forte promessa di efficacia, anche quando comprovata da test «per il consumatore ricollegare le promesse di efficacia alla realtà del prodotto è impossibile - prosegue Fracchia. - Sarebbe importante trovare parole e modalità di comunicazione capaci di spiegare l’azione dei prodotti in maniera soprattutto credibile. Per quanto il messaggio che trasmette l’illusione dell’eterna giovinezza continui (… e continuerà) a solleticare la parte meno razionale della psiche, gli studi di mercato evidenziano una sostanziale assuefazione riguardo a queste promesse; inoltre, associare il risultato di un test non sembra aumentarne la credibilità. Infatti, mentre ci si aspetta che il test trascini una promessa poco credibile in un’area di verità, in realtà avviene il contrario: nella mente di molte consumatrici la promessa poco credibile scredita anche il test a supporto, insinuando un’equazione fra test e scarsa serietà della casa. Questo è molto pericoloso perché i test, che se correttamente condotti sono importanti prove scientifiche, stanno perdendo di autorevolezza. Ciò dovrebbe insinuare il dubbio sulla validità dell’uso che di queste prove viene fatto in comunicazione, con il rischio di sprecare una carta che invece nell’argomentazione di vendita potrebbe essere utilizzata con maggiore efficacia. In pubblicità sarebbe certamente interessante provare nuove vie, senza peraltro che sussistano rischi rilevanti di insuccesso: penso infatti che un segnale distintivo sarebbe comunque molto apprezzato. Mi sembra,inoltre, positivo l’intento del nuovo Regolamento cosmetico di costruire un sistema di standard che garantiscano la serietà della dichiarazione di efficacia e della prova».
 
Il messaggio visto dalle aziende
Pur con la difficoltà di distinguersi, le case cosmetiche costruiscono la propria comunicazione cercando un equilibrio fra la promessa convincente, le spiegazioni tecniche con i test a supporto, la ricerca di un messaggio competitivo rispetto alla concorrenza e l’attenzione a evitare di incorrere nell’inibizione degli organismi di controllo. Una leva comune è la garanzia della marca e la relazione che ha costruito con il consumatore «l’escalation che si è osservata nella comunicazione delle performance, a partire dai messaggi sulle molecole fino ad arrivare al filone attuale in cui si include il test di efficacia, è sempre seguita dalla consumatrice – considera Francesca Terzaghi di Deborah Group, – che oggi inizia a comprendere anche le scritte in asterisco e a distinguere i falsi test o i messaggi non proprio veritieri. Abituata ad avere informazioni dettagliate sulle performance di prodotto, la consumatrice ritiene irrinunciabile questo tipo di comunicazione. Il rischio che l’uso non sempre corretto che le aziende meno serie fanno di questa comunicazione porti a screditare messaggi e prodotti certamente esiste. Prevale però la capacità della consumatrice di distinguere le case poco credibili e la tendenza a confermare la fiducia alle marche che nel tempo si presentano in modo coerente e serio». La sfida che le marche si pongono è cercare un mix fra attrattività e rigore «avendo sempre lavorato con la farmacia, la comunicazione di Lierac racconta il prodotto puntando sul meccanismo d’azione degli attivi e sulle proprietà cosmetiche della texture, anche nella pubblicità a mezzo stampa –evidenzia Orietta Viziale. - Abbiamo voluto condurre la consumatrice in un percorso educativo sul prodotto, prolungando i testi anche nel messaggio pubblicitario. È importante mantenersi su un piano di assoluta serietà. La difficoltà è distinguersi quando tutti dicono di essere seri. Le autorità di controllo sono molto attente ad assicurarsi che la comunicazione non faccia leva sull’ingenuità di un consumatore che, di fatto, non è più disposto a scegliere solo in base alla promessa-prodotto. Peraltro la comunicazione del cosmetico, anche del prodotto per il trattamento, non può prescindere da una dimensione un po’ sognante: fa parte del gioco, del patto che su questi prodotti si è instaurato con il consumatore. Senza ricadere in modelli favolistici, credo che un certo grado di evocatività debba essere presente. È necessario cercare un equilibrio, nella consapevolezza che l’eccesso di rigore rende il messaggio meno efficace rispetto a quello della concorrenza, con il rischio che non trasmetta il reale valore del prodotto».«Da sempre e per prima Collistar ha adottato una pubblicità di tipo redazionale – afferma Daniela Sacerdote, amministratore delegato Collistar, – in cui spieghiamo il prodotto anche nei suoi dettagli tecnico-scientifici, inserendo sempre anche il prezzo. Proprio questo tipo di pubblicità ha costituito, soprattutto all’inizio, una delle chiavi del successo di Collistar. Claim molto emozionali ed eclatanti, che spesso prevalgono nella comunicazione cosmetica, non fanno parte del modo di comunicare di Collistar. Il consumatore ci segue e ci distingue proprio per questa serietà. Non sentiamo quindi il bisogno di rinunciare a quel contenuto informativo che ci caratterizza. L’innovazione che apportiamo alla pubblicità punta ad abbinare alla parte tecnica del messaggio una grafica e una creatività sempre nuove, con una impostazione grafica che viene rivisitata completamente di anno in anno. Inoltre non pubblichiamo mai lo stesso annuncio sulla stessa testata: per questo produciamo circa 80 pagine diverse di pubblicità all’anno, che facciamo ruotare con molta attenzione sulle testate di riferimento. L’intento è quello di invogliare a leggerci, in una comunicazione step by step che vuole creare un rapporto continuo con il consumatore. La pubblicità è quindi un mix ragionato di contenuto tecnico-redazionale e di creatività grafica, con una cura estrema nel testo per ottenere un messaggio chiaro in un linguaggio accessibile, che susciti attrazione nei confronti del prodotto, ma che non lasci spazio a fraintendimenti o false promesse. Da qualche tempo la presentazione dei test a supporto è entrata anche nel nostro messaggio, seguendo un trend di comunicazione molto presente sul mercato. Le specifiche sui test, poste in asterisco, dichiarano sempre con precisione il tipo di test; viene inoltre segnalato che le prove sono eseguite in collaborazione con un’importante università italiana. I risultati di vendita, che hanno visto Collistar in crescita anche nel 2009, in controtendenza rispetto al canale della profumeria selettiva a cui ci riferiamo, confermano l’efficacia del nostro approccio, che si è rivelato vincente anche per aprirsi a nuovi target come quello maschile». La ricerca del rapporto con il consumatore passa anche dal rapporto con il canale e dal punto vendita. Viziale di Ales Groupe «il rapporto con il canale è certamente un aspetto importante:la fiducia che la consumatrice ripone nella farmacia deve essere corrisposta con scelte commerciali non deludenti da parte del rivenditore.Per questo è premura del nostro Gruppo lavorare al fianco del farmacista per la sua formazione in campo cosmetico, per la gestione del punto vendita, perché fornisca risposte qualificate al suo cliente. Approcciare il farmacista con la sola logica degli sconti è un errore che non promuove una reale crescita del canale nel servizio al consumatore, quindi non ha futuro». «Nel mix di comunicazione un elemento importante è il punto vendita, soprattutto per una marca come Deborah Milano che è a libero servizio – sottolinea Francesca Terzaghi. – Non avendo un supporto diretto del personale di vendita, il materiale espositivo del punto vendita deve essere costruito con la massima cura. La consumatrice deve rimanerne incuriosita e sentirsi invitata a provare i prodotti, attraverso materiali di servizio comodi, tester visibili ecc, in un’area che sia attraente, accogliente e coerente con i valori del prodotto e della marca».

 
 
"Un vantaggio competitivo per le aziende serie" Il commento di Elio Mignini, immediate past president di Sicc
Come commenta Sicc l’approccio del Regolamento cosmetico alla disciplina dei claim?
L’approccio del Regolamento 1223/2009 è sostanzialmente condiviso da Sicc, che ha sempre cercato di promuovere una maggiore trasparenza nella comunicazione dell’efficacia cosmetica come risultato di una rigorosa valutazione della funzionalità. Il fatto di redigere un elenco delle proprietà e delle dichiarazioni ammissibili per il cosmetico per arrivare a una linea guida che formalizzi criteri comuni di utilizzo delle presentazioni è per Sicc un utile strumento. Un aspetto strettamente collegato è la definizione della lista esemplificativa delle categorie di prodotti cosmetici che la Commissione Europea prevede di regolamentare in futuro; attualmente tale lista è riportata in modo approssimativo e senza criteri logici nell’articolo 1 della Direttiva Cosmetici e dovrebbe essere razionalizzata e completata. A tale scopo è stato creato un gruppo di lavoro Sicc con la speranza di poter contribuire alla stesura definitiva da parte della Commissione Europea: stiamo infatti elaborando un elenco razionale di prodotti che tenga conto sia delle funzionalità cosmetiche che delle categorie attualmente presenti sul mercato o di quelle prevedibili per il prossimo futuro.
Crede che questo stimolo del legislatore sarà efficace per dare una maggiore trasparenza al mercato?
È ciò che Sicc auspica. Sarà cruciale che, per questa estensione della normativa cosmetica fuori dalle prerogative di tutela della salute, si definiscano con precisione i campi di attuazione: parlando di efficacia cosmetica e di comunicazione, infatti, si lambiscono aree, come quella della pubblicità ingannevole, che sono già disciplinate da altre leggi, con la possibilità che si configurino conflitti fra le diverse disposizioni; d’altra parte, se l’applicazione di questa parte del Regolamento fosse solo limitata all’adozione di linee guida, la sua efficacia sarebbe molto limitata. Occorre quindi che vengano chiariti a priori i riferimenti a normative trasversali. Si tratta comunque di uno stimolo molto utile per le aziende virtuose, che dovrebbero comprendere che la valutazione della funzionalità cosmetica è un’area in cui è utile investire seriamente. Sono peraltro convinto che le ricadute di questo impegno saranno di gran lunga superiori all’investimento fatto: supportare un claim con prove scientifiche di funzionalità permetterà di migliorare i prodotti, le tecniche di valutazione e la comunicazione al consumatore, aumentando la credibilità sul mercato e garantendo vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza meno attenta o meno corretta. In tal senso la spinta legislativa, se sufficientemente sorvegliata dalle autorità europee, sarà un’ottima garanzia per chi ha investito e investirà su questi aspetti: saranno finalmente premiati coloro che operano correttamente che, al contrario, oggi rischiano di essere penalizzati nei confronti di chi adotta strategie di comunicazione più spregiudicate.
 
 

Nuovi approcci al mercato: tendenze emergenti e possibili risposte in campo cosmetico Il punto di vista di due esperti del marketing
 
Silvio Pacillo, consulente di marketing e strategia
Si osservano modelli innovativi di approccio delle marche almercato?
Sembrano affermarsi alcune tendenze trasversali a diversi settori merceologici che potrebbero rivelarsi strategie vincenti anche per il cosmetico. Una direzione è quella di offrire servizi che migliorino o facilitino le condizioni di utilizzo del prodotto o che aiutino il consumatore a selezionare il prodotto all’interno di una gamma. Un secondo trend riguarda la personalizzazione del prodotto, per avvicinarsi alle esigenze dei diversi tipi di cute o problemi estetici con una maggiore specificità, facendo della cosmesi una specie di migliore amica. Il terzo elemento che caratterizzerà il marketing del futuro è la crescente richiesta di partecipazione e coinvolgimento diretto del consumatore. Queste tre tendenze partono dall’esigenza univoca di trovare un riscontro concreto nel mercato al proprio problema specifico. La direzione è quella del cosiddetto one to one marketing, che le aziende potranno perseguire soltanto attraverso un ascolto attento dei bisogni di segmenti sempre più definiti di consumatori.
Quali potrebbero essere strumenti specifici nel settore cosmetico per creare la necessaria relazione fra azienda e consumatore?
Una reale interazione fra chi offre il prodotto/servizio e chi lo usa si costruisce attraverso meccanismi che coinvolgono oggi strumenti diversi dalla pubblicità tradizionale. Il web, ad esempio, è molto interessante proprio per l’aspetto della relazione e perchè sempre più vicino al consumatore, che può accedervi anche dal cellulare. L’utilizzo di internet solo come vetrina è superato perché le persone che frequentano la rete, un numero che aumenta ogni giorno, sono giovani, preparate e con forte attitudine all’interattività. Questa modalità è molto affine alla comunicazione del cosmetico e potrebbe concretizzarsi nell’offerta di servizi via web al consumatore in base a specifici problemi da lui stesso proposti: rispondere a domande, dare suggerimenti cosmetici, proporre semplici test di autodiagnosi su questioni estetiche potrebbero essere strade interessanti, innovative e anche poco costose per creare una relazione sia da parte delle case produttrici sia da parte dei punti vendita. Iniziative di questo tipo potrebbero infatti coinvolgere anche la distribuzione, in cui potrebbero essere organizzati servizi personalizzati,anche tramite la dotazione di kit o apparecchiature idonee, sempre nella direzione della diagnosi di specifiche esigenze (tipo di cute, fototipo, idratazione…) o della prevenzione e sperimentazione. Una strada di maggior servizio perseguita con serietà, che attraverso la competenza del personale del punto vendita, opportunamente formato, promuova una condivisione di conoscenze con il consumatore, permetterebbe di fondare meglio sia una domanda più razionale sia una offerta più efficace e concreta del cosmetico più adatto. Questo genere di iniziative potrebbero rappresentare la futura evoluzione del mercato cosmetico.
 
Dario Fracchia, contitolare di B&F Marketing, società di consulenza, comunicazione e ricerche di mercato
Quali orientamenti e bisogni peculiari esprime il consumatore in questa fase?
Indagini ed osservatori di mercato confermano una prima tendenza che riguarda l’orientamento verso una minore propensione al consumismo. Si riscoprono valori tradizionali, si tende a un nuovo equilibrio fra sfera materiale e sfera spirituale, si aspira a uno sviluppo più rispettoso delle risorse naturali, trend, quest’ultimo, importante di lungo periodo. Un secondo elemento è legato all’innalzamento dell’età media, che vede una generazione di persone mature varcare la soglia dell’anzianità in buona salute fisica e mentale: intendono proseguire nel condurre uno stile di vita pieno e appagante, ricercano propri valori e interpretazioni, senza rinunciare alla bellezza, al vigore fisico, alla sessualità, aspetti a cui la cosmetica può dare un importante contributo.
Considerando il cosmetico, quali tendenze interpretano questi bisogni e come risponde il mercato?
Si osservano due tendenze decise: la ricerca di naturalità e di benessere sensoriale. Considerando la naturalità, si tratta di un nuovo modello di consumo che riflette la ricerca di un rapporto più armonioso con l’ambiente e con se stessi. Esistono esempi virtuosi di merceologie, anche contigue al cosmetico, che hanno saputo dare risposte significative e credibili su questi aspetti. Ad esempio l’alimentare: lo sforzo verso l’eliminazione di ingredienti poco salubri, l’abbandono dei conservanti, la tracciabilità completa del prodotto, le certificazioni di origine. Analogo impegno il consumatore vorrebbe vederlo anche in campo cosmetico, dove, invece, si riscontra una certa lentezza nel farsi portatori di questi valori. Considerando le certificazioni di prodotto, l’esempio eclatante è quello dei cosmetici biologici, su cui il consumatore non ha le idee chiare per il proliferare degli standard: questa nicchia rischia di diventare poco credibile per l’incapacità di questo comparto di darsi un assetto univoco e autorevole. L’altro trend specifico è quello prorompente del benessere sensoriale. Il prodotto non è fatto solo per essere consumato in sé, ma anche per attivare una serie di suggestioni sensoriali a evocare atmosfere appaganti, una sfera emozionale ancora non sviluppata appieno: prodotti molto validi non hanno il riscontro atteso, perché al momento dell’acquisto rimangono decontestualizzati rispetto a queste atmosfere, che lo scaffale del negozio o del supermercato attualmente non offrono.
Come rispondere a queste esigenze?
A livello di sviluppo di prodotto, è necessario prevedere uno sforzo di maggiore coordinamento fra marketing e reparti di sviluppo e di interazione con la distribuzione. Il produttore dovrebbe arricchire i propri assortimenti di nuovi concetti, ad esempio un corredo di accessori (incensi, candele, oggetti), ma soprattutto creare attraverso il punto di vendita quelle atmosfere evocative che il consumatore ricerca. Si tratta di un’evoluzione dal prodotto fine a se stesso a un mix in cui il prodotto è al centro di un mondo che comprende accessori, servizio e la cosiddetta shop experience, cioè l’atmosfera che nel punto di vendita dà vita a un contesto emozionale al cui interno il prodotto viene offerto. I punti vendita monomarca hanno certamente interpretato queste istanze, ma anche negozi come le farmacie o le profumerie possono realizzare al proprio interno corner tematici con personale specificamente formato.
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